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Reparto sperimentale di volo aviazione Argentina
Chamical, Provincia di Cordoba 1988
Nel lontano 1988, un team dell’allora Meteor CAE S.p.A, ditta fondata dall’Avvocato Furio Lauri, valente pilota decorato con medaglia d’oro al valor militare, durante la seconda guerra mondiale, ed operante nel campo degli aerei teleguidati, ricognitori e radiobersagli (TARGET), si è trasferito in Argentina per un’attività sperimentale.
Le Forze Armate Argentine, erano interessate ad acquisire un velivolo teleguidato da ricognizione aviolanciabile. Meteor, reduce dall’esperienza Irakena, con Radiobersaglio Mirach 100/2 lanciato da elicottero Agusta 109, ha proposto la versione da ricognizione dello stesso, rinominato Bigua in Argentino, curando l’integrazione del velivolo teleguidato sul biturboelica da appoggio tattico IA-58 Pucarà.
Personalmente ero stato da poco assunto nel gruppo operazioni e assistenza clienti della Meteor, e ricordo di aver visto con invidia, i miei colleghi più anziani, partire per quell’entusiasmante esperienza. Poco male, per i 30 anni successivi, le trasferte non sono mancate.
All’inizio del 2013 vedendo dei pannelli fotografici esposti in ditta, tali ricordi sono affiorati, e, nonostante il Pucarà fosse un aereo che non mi era mai particolarmente interessato, sono rimasto folgorato.
Irresistibile il desiderio di riprodurre quel piccolo pezzo di storia dell’azienda, e scelta immediata della scala 1/48: il Mirach, lungo dal vero quasi 4 metri, sarebbe stato troppo piccolo in 1/72.
Pucarà ad iniezione, in scala 1/48 non all’epoca non ve ne erano, ed è un peccato, perché merita.
Ho dovuto per forza di cose ripiegare sulla resina, Heritage, Mirage o Acongaua.
Ho provato ad acquistare un Acongaua, contattando direttamente in Argentina il titolare della ditta, Juan Carlos Heredia, che, oltre al modello, mi ha spedito in omaggio le decal del 561, l’esemplare da riprodurre, e diversa interessante documentazione fotografica.
Hanno contribuito al progetto anche Sergio Bellomo, dell’IPMS Mar del Plata, i miei colleghi Alessandro e Nicolino, che hanno partecipato all’attività operativa in Argentina e Stefano che mi ha reperito diversa documentazione tecnica.
Ad agosto 2013 ho cominciato a lavorare sul progetto, partendo, ovviamente, dall’autocostruzione del Mirach 100/2.
Come base ho usato pennarello, casualmente arancione, rifinito con sprue e plasticard, così come il traliccio di fissaggio al pilone, in realtà utilizzato nudo, senza la carenatura prevista per il lancio da Agusta 109.
Ho poi messo mano al modello, beata ingenuità, dopo qualche prova a secco ho capito che la cosa non sarebbe stata indolore.
Classica partenza da seggiolino anteriore tutto sommato di discreta fattura, mentre quello posteriore non era installato, in quanto sostituito dalla console di lancio del Mirach, i cui comandi di avviamento e sgancio, erano ripetuti su uno scatolino a disposizione del pilota.
L’abitacolo è stato migliorato sulla base di documentazione fotografica con i soliti materiali, la base grigia è stata data ad aerografo, impostando qualche chiaro scuro sulle superfici maggiori, mentre i particolari minori sono stati dipinti a pennello con colori Valleio.
Le semifusoliere, grazie al notevole spessore, sono state dotate di spine di acciaio armonico e incollate con fiumi di cianoacrilato.
Fino a qua nulla di veramente tragico.
Sono poi passato a dettagliare i vani carrelli, prima rendendoli più profondi, autocostruendo la protezione dello scarico delle turbine, ed infine tutto il dettaglio degli impianti interni. Peccato che non si vedrà nulla.
In diversi punti ho esagerato nell’assottigliare la resina, creando voragini qua e la. Non meravigliatevi se vedete toppe simili a quelle di una vecchia camera d’aria sparse sulla superfice del modello, in fase di costruzione.
I carrelli, per quanto non malfatti, e irrobustiti con filo d’acciaio all’interno, non mi davano sufficiente sensazione di robustezza.
Sono stati cestinati ed auto costruiti in tubi d’ottone stagnati con dettagli in materiali vari.
Solo le ruote e la forcella del carrello anteriore sono tate riutilizzate.
I portelli dei vani carrelli sono stati migliorati con i braccetti per la loro attivazione.
Per il corretto posizionamento delle pale delle eliche, mi sono costruito un semplice scalo in plasticard.
Le pale sono state assottigliate, già che c’ero, tanto per tenersi in allenamento, perché non romperne parzialmente una, per poi ricostruirne l’estremità in plasticard?
Per l’assemblaggio delle ali ho realizzato uno scalo con i lego, anche qua pesanti irrobustimenti in tubi di rame, e milliput a tonnellate, pensate che le semiali esterne erano di almeno 1 mm meno spesse del pianetto centrale, fortunatamente il largo pilone ha permesso di nascondere la giunzione.
Luci di posizione sulle estremità e fari d’atterraggio sui piloni sono stati autocostruiti con il solito sprue trasparente.
Particolare attenzione è stata posta al momento di incollare le ali alla fusoliera, peraltro nessun incastro previsto, se non un approssimativa sede, abbondantemente fresata.
Ho dovuto avvalermi di uno scalo in lego su carta millimetrata e squadrette di riscontro.
Visto che su una delle foto originali, scattate in Argentina dai miei colleghi, appariva il nostro, con un motore parzialmente a vista, ovviamente ho deciso di cimentarmi nell’autocostruzione del motore.
Da notare che, la parte anteriore della gondola era in resina piena, ho dovuto fresare non poco per rimanere con solo un po di carne sul lato sinistro, a sorreggere presa d’aria e ogiva.
Altra gatta da pelare, l’approssimativa sede della deriva verticale, "decentrata" sulle due semifusoliere di un millimetro buono, e la cappotta anteriore, "leggermente" sovradimensionata.
I flap del modello e il direzionale erano già separati, cosa non da poco, mentre gli elevatori non lo erano.
Sono allora andato di taglia e cuci, per posizionarli nell’insolita posizione parzialmente "su" come si vede in parecchie foto, tagliando e incollando coerentemente anche le alette del trim.
Il tettuccio e il parabrezza erano forniti in un unico pezzo di acetato termoformato.
Purtroppo quando i produttori cercano di riprodurre i montanti, riescono sempre dimensionalmente eccessivi e dai bordi arrotondati. Per cui preferisco utilizzare l’originale per creare uno stampo in gesso ceramico, lisciare i montanti e termoformarmi un nuovo pezzo perfettamente liscio.
Il dettaglio interno è realizzato in plasticard, incollato con la ciano.
Dopo la solita reincisione dei pannelli, a dir il vero un po’ troppo pesante, ho concluso il lavoro di costruzione della cellula, aggiungendo i piccoli dettagli superficiali, quali luci di posizione, antenne, bugne portelli armi andate perse con la carteggiatura, e i dispersori elettrostatici, realizzati in filo da pesca.
Da questo punto in poi l’hanno fatta da leone il plasticard, il cianoacrilato, lo stucco e la carta abrasiva.
Innumerevoli infatti le scheggiature e i fori da occludere.
Vedendo il modello stuccato, rabberciato, toppe dappertutto, ho dubitato fortemente sarei riuscito a tirarne fuori qualche cosa di buono con la colorazione, ma state sereni, il piano B era già pronto: trasformazione del lindo 561 in uno dei diversi Pucarà abbandonati semidistrutti alle Falkland/Malvinas.
Colorazione
Ho cominciato, esitante, con una mano di primer Model Master.
Niente da fare, graffi e stuccature da aggiustare, vai di stucco e carta abrasiva.
Seconda mano di primer: niente da fare, graffi e stuccature da aggiustare, vai di stucco e carta abrasiva.
Terza mano di primer: niente da fare, graffi e stuccature da aggiustare, vai di stucco e carta abrasiva.
NO, NON HO SBAGLIATO CON I COMANDI COPIA INCOLLA, dopo 3 mani di primer, finalmente di stuccature da fare ne sono rimaste meno, e ho potuto procedere con ritocchi locali.
Il primer Model master da una finitura molto liscia e satinata, è sufficientemente resistente da essere carteggiato con un panno adesivo del 6000, quando ben asciutto, per eliminare ogni più piccolo difetto di colorazione.
Unico difetto, quando si usa, è come trovarsi sotto attacco di gas a Ypres, nella prima guerra mondiale, meglio dotarsi di maschera protettiva con un buon filtro, onde evitare ai familiari il penoso compito dell’estrazione del corpo del congiunto dal bugigattolo di verniciatura trasformato in camera A GAS.
Scongiurato il pericolo di dover attuare il piano B, sono passato finalmente alla colorazione della mimetica.
Ovviamente gli amici Argentini, non contenti di avermi stressato con un modello al limite dell’assemblabilità, non hanno usato colori FS o RAL, ma fantasiose tinte di loro produzione, probabilmente pigmenti biologici estratti da muschi e licheni della Patagonia.
Questa volta, mi son detto, devo registrare esattamente le mescole dei colori, per poter riprodurre in ogni momento le tinte.
Ben presto il sistema suggerito dalla logica è collassato, la cavia per i colori, un vecchio ME 262 in 1/72 era coperto da talmente tanti stati di colore che sembrava in 1/48.
Sul pavimento del laboratorio giacevano una dozzina di fotocopie a colori del Pucarà 561, riverniciate ad aerografo, e sullo scaffale una trentina di barattolini di colore Tamiya e Gunze contenenti miscele simili alle quattro tinte della mimetica.
Da notare che la colorazione originale prevedeva solo il sabbia e il verde chiarissimo, le macchie più scure sono state applicate in via sperimentale sui due colori precedenti, rendendo l’andamento dei bordi di separazione dei colori poco armoniosi, ma anche più interessante il risultato finale solo sul 531, del centro sperimentale.
Credo di essermi avvicinato abbastanza ai colori reali, ma tanto, se qualcuno me li contesta, gli rispondo di farmi vedere le chip corrette e lo frego, a meno che non trovi un pazzo che si paga il viaggio fino alle Falkland/Malvinas per recuperare qualche pezzo di relitto di Pucarà.
Tip sui diluenti:
Se usate colori acrilici Tamiya e Gunze, non perdete tempo a cercare diluenti alternativi a quelli della casa, si può usare di tutto, ma la finitura fine e uniforme che si ottiene col Laquer Thinner Tamiya, detto anche “tappo giallo” è insuperabile, eguagliata solo dall’equivalente della Gunze o al Levelling thinner, sempre Gunze.
Oltretutto la colorazione aggrappa meglio sule superfici, permettendo la finitura con panni abrasivi dopo ogni mano di colore.
Il 561, ai tempi dei voli con il Mirach/Bigua appariva in ottime condizioni, nessun graffio o scrostatura, questo ha limitato di molto la possibilità di sbizzarrirsi con quegli invecchiamenti spinti che a me piacciono tanto.
Come al solito ho iniziato dal ventre, differenziando leggermente i pannelli, schiarendoli al centro, scurendoli appena ai bordi, come mi avete già visto fare su quasi tutte le altre mie realizzazioni qua pubblicate, e che ho più o meno già illustrato nel mio tutorial su come rendere tridimensionali i modelli.
Non sono un patito del pre-shading, preferisco il post-shading, creando chiari scuri sul colore di fondo, sia a mano libera, che mascherando i singoli pannelli.
Sono passato al sabbia, dopo aver lavorato col solito metodo le pannellature, ho applicato il patafix per realizzare le macchie in verde chiaro.
A quel punto il modello, praticamente mummificato, sembrava l’aereo del faraone TutanKhamon.
Senza rimuovere i rotolini ho rilavorato i pannelli, incluse le mascherature per scurirne i bordi, lavoro che richiede una certa attenzione, ma il risultato ottenibile, merita lo sforzo.
Stesso procedimento per le macchie più scure.
Col senno del poi, sarebbe stato meglio andare a mano libera, le sfumature sul vero 561, erano leggermente meno nette.
Lucido Tamiya, decal, per fortuna di ottima qualità, applicate con i liquidi Microscale, altra mano di lucido, leggero lavaggio a olio tono su tono nelle pannellature, opaco Gunze, montaggio dei particolari colorati separatamente, e modello finito.
Almeno così avrei voluto che fosse andata. Invece in fase di opacizzazione mi è caduto a terra il canopy, non me ne sono accorto fino a quando non ho sentito un sinistro “CRICK” sotto il piede. Avete presente nei film di guerra quando lo sfigato del gruppo mette il piede su una mina?
Sono rimasto paralizzato per 5 minuti buoni, il sudore mi colava gelido sempre più giù, lungo la spina dorsale, fermandosi solo contro l’elastico delle... beh lasciamo perdere certi dettagli, magari qualche bambino con turbe psichiche potrebbe leggere l’articolo e peggiorare.
Per fortuna, anche se inutilizzabile per essere montato sul modello, sono riuscito a fargli riprendere la forma quanto basta per la realizzazione di una stampo in gesso ceramico, da utilizzare per la termoformatura in acetato di un ricambio.
Fallimento totale, mi è venuto storto anche quello.
Fortunatamente Acongaua me ne ha spedito gratuitamente uno di ricambio, da cui ricavare lo stampo per la termoformatura di un nuovo pezzo.
Nulla di particolare da segnalare per la realizzazione di basetta e semplici accessori, tra cui un generatore DASH-86 di produzione USA, in dotazione all’aviazione Argentina e acquistato da Hannants, e una antiestetica scaletta, che ho dovuto inventarmi, a mò di sostegno, per creare una quarta gamba in grado di reggere il peso della pesantissima coda in resina, e che è stata realizzata in filo di acciaio armonico, incollato con la ciano e grelle per pavimentare le piste in erba per i gradini.
Decisamente un progetto impegnativo, come già scritto cominciato nel 2013, intercalato da altre costruzioni, Tornado IDS, i due Mosquito, Il Fokker DVIII, già pubblicati su queste pagine.
Vi prometto che il prossimo modello sarà un Airfix serie 1, 40 pezzi, fatto da scatola; saluti a tutti... il vostro affezionato Pinocchio.
Roberto “Target” Colaianni e-mail roberto.colaianni@alice.it [Gallery] 13.02.2019 |