Gli assi dell'aviazione

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F4U-1A Corsair, missione abortita!

Roberto Colaianni




Il pilota: Ira Kepford

Ira Cassius Kepford

Ira Cassius Kepford è nato il 29 maggio 1919 a Harvey, Illinois, figlio di George Raymond e Emma Mc Laughlin Kepford.
Era ancora alla Northwestern University, quando si unì alla US Naval Reserve nel 1941.
È stato congedato con onore dalla riserva il 29 aprile 1942, ed accettato la nomina a Cadetto della Naval Aviation.
Kepford ha guadagnato le sue ali di pilota a Corpus Christi, Texas e Miami, in Florida, il 5 novembre 1942, ed è stato assegnato al VF-17 nel gennaio successivo.
Nella Battaglia del Mar Salomone, Kepford, ha attraversato il violento fuoco AA della portaerei Bunker Hill per pressare da vicino il nemico, riuscendo ad abbattere quattro aerei nemici e danneggiarne un quinto, azione per la quale è stato insignito della Croce della Marina.
Il 29 gennaio, seguito dal suo gregario, ha affrontato 12 caccia giapponesi su Rabaul, riuscendo ad abbatterne quattro, guadagnandosi, con questa azione, la Stella d’oro.




Di ritorno alla base, il 19 febbraio 1944, Kepford individuò un idrovolante giapponese a bassa quota.
Anche se era solo (il suo gregario è stato costretto ad abortire la missione) ed intento a scortare dei bombardieri in rotta verso Rabaul, lo attaccò, facendolo precipitare in fiamme in mare.
Immediatamente dopo è stato attaccato da una sezione di tre Zero, che si tuffarono su di lui da una quota più alta.
Kepford ha immediatamente attivato il sistema di iniezione d’acqua appena installato, ma il vantaggio energetico degli Zero ha permesso loro di ridurre lentamente il divario.
Come il primo Zero ha aperto il fuoco, Kepford ha abbassato flaps e carrello d’atterraggio e puntato il naso verso il basso, fino quasi a sfiorare le onde, perdendo notevolmente velocità.
Non appena gli Zero lo hanno sorpassato, passando rombando su di lui, ha tirato su il naso e aperto il fuoco.
Lo stabilizzatore di un nemico si è disintegrato e l’aereo si è schiantato in mare.
Portata la manetta al massimo, rientrati carrello e flap, non gli restava che combattere, una sfida 1 contro 2, partendo da una posizione svantaggiata, basso e lento.
Non appena guadagnato un pò di velocità ha tagliato la strada agli Zero, uno dei quali è sceso bassissimo sul mare aprendo il fuoco e... si è schiantato rovinosamente: l’estremità alare aveva toccato la cresta di un’ onda.
Lasciato andare il terzo Zero è atterrato alla base con i serbatoi praticamente vuoti.
Rientrato negli Stati Uniti nel marzo del 1944, è stato assegnato alla Fleet Air Command a Alameda, California.
Nel mese di giugno, è stato trasferito al VF-84. Nel mese di dicembre, è stato aggregato allo Staff del comando della flotta aerea West Coast, dove ha servito per il resto della seconda guerra mondiale.




Kepford si congedò Marina Militare con il grado di Liutenent Commander il 1 ° giugno 1956.
Nei suoi cinque mesi di servizio attivo, Ira Kepford ha ottenuto un totale di 16 abbattimenti confermati e 1 non confermato.
È stato insignito della Croce della Marina, la Stella d’Oro, la Stella d’Argento, tre Distinguished Flying Cross, la Air Medal, e l’American Defense Service Medal.


Liberamente tradotto da: The “Jolly Rogers” Squadron www.century-of-flight.net




Il modello
Più di un anno fa iniziai un Corsair per un mio collega, scatola Tamyia in 1/48, Il lavoro si è trascinato stancamente per mesi perché avevo in cantiere altri modelli, già pubblicati su queste pagine, i tre mezzi d’assalto della X MAS ed il 2° FW 190 D9, quello con il portone dell’hangar in sottofondo per intenderci.
Fino ad allora non mi era interessato molto, lo vedevo come un assime anonimo di pezzettini di plastica da incollare assieme, quasi un lavoro, non era scattata la scintilla che mi ha fatto appasionare al soggetto.
Gli ottimi interni sono stati costruiti da scatola, il pannello strumenti è stato pitturato di nero, immerso ripetutamente nella cera per pavimenti Emulsio Facile e soffiato con l’aria dell’aerografo per essere asciugato.
Ho tagliato gli strumenti dal foglio decal singolarmente e posizionati all’interno delle cornici in rilievo del pannello.
Passata di opaco Gunze ad aerografo e goccia di lucido a simulare il vetrino hanno concluso la preparazione del pannello.
Gli interni sono stati pitturati con il zinc cromat prymer Tamiya, dry brush con bianco opaco Humbrol, cera per lucidare il tutto, lavaggio a olio Terra di Cassel.
Lo stesso metodo è stato usato anche per i vani carrelli alari, quello posteriore, l’interno della NACA.
I pannelli laterali sono stati dipinti, previa mascheratura, con il NATO Black Tamyia.
Manopole e comandi vari sono stati dipinti a pennello con acrilici Vallejo prima in bianco e poi con il colore appropriato, per essere più lumiosi.
Il motore è stato dipinto a spruzzo con un mix di Tamyia a simulare l’engine gray, non chiedetemi quali sono le percentuali, ho creato l’intruglio secondo le norme “UNI A OCCHIO” direttamente nella tazzina dell’aerografo.
Ho ripassato a pennello i cilindri con l’allminio Humbrol.
I cavi delle candele, precedentemente realizzati in filo di rame solo sulla stella anteriore, sono stati pitturati a pennello con un marrone chiaro Vallejo, stesso procedimento per i cablaggi dai magneti, dipinti però in nero.
Cera e lavaggio a olio nero hanno terminatola preparazione del motore
Terminato motore e interni ho chiuso le semifusoliere, attaccatole ali, i flap, già forniti separati e i piani di coda, a cui avevo precedentemente separato e abbassato gli elevatori.
Vedere le forme eleganti e possenti del caccia Vought prendere forma ha fatto scoccare la scintilla, mi sono appassionato al soggetto, tanto da decidere di acqistarne un secondo da fare per me.
Assieme al secondo modello ho acquistato un set di fotoincisioni Eduard pergli interni, ruote in resina con battistrada a rombi, piu appropriato per i velivoli basati a terra e un foglio decal TechMod per due differenti velivoli usati dall’asso americano Ira Kepford, il mitico e iper fotografato 29 Bianco.
Il primo con le insegne bordate di rosso, in uso fino ai primi mesi del’43, se ricordo bene, il secondo, con le insegne senza bordino rosso.
Qui devo aprire una parentesi, non sono sicuro che Kepford avesse usato due diversi velivoli con lo stesso numero e insegne diverse.
Dalla foto in apertura, si vede chiaramente che le insegne ritenute senza bordino rosso, sono bordate di un colore molto più scuro del blue delle insegne stesse e della livrea del velivolo.
Ciò mi fa pensare che si tratti dello stesso velivolo con il bordino rosso obliterato con del colore blu scuro.
Non ho approfondito la questione, il velivolo su commissione l’ho fatto con il bordino rosso, quello da tenere con il bordino blue scuro,così accontento tutti.




Per fortuna, anche se entrambe le confezioni erano dedicate all’F4U-1D, contenevano i pezzi per l’F4U-1A, il canopy con doppio montante, il carrello posteriore di tipo corto e il pannello trasparente sul fondo dell’abitacolo.
Quest’ultimo particolare genererà le solite polemiche, era presente o meno sull’F4U-1A? Beh io non sono riuscito ad ottenere certezze, pare che tale pannello sia stato ritenuto inutile ed eliminato dopo che la versione -1A era in produzione.
A complicare la questione, alcune fonti riportano che, alcuni velivoli, hanno avuto il trasparente pitturato in bianco.
Alla fine ho deciso di lasciare il pannello trasparente, nessuna soffiata sicura, nessuna certezza, ma il fatto di rendere più luminoso l’abitacolo mi ha fatto propendere per questa scelta.
A questo punto ho cominciato la costruzione del “mio” Corsair.
Le uniche differenze rispetto a quello “su commissione” sono:

  • separazione, ricostruzione del bordo d’attacco e posizionamento inclinato del direzionale.
  • separazione delle alette di compensazione sul direzionale e sugli elevatori.
  • ricostruzione delle squadrette delle alette di compensazione in sprue e fotoincisioni di recupero.

  • Applicazione del set fotoinciso precolorato per gli interni dell’abitacolo.







  • ricostruzione in lamierino di rame dei flabelli subalari dei radiatori.
  • autocostruzione in rod evergreen e filo di rame del sistema di chiusura dei flabelli motore.







  • rimozione del pannello inferiore sinistro della NACA e ricostruzione del pannello rimosso in lamierino di rame e rod Evergreen a sezione rettangolare.
  • Miglior dettaglio del motore con cavi candela anche sulla seconda stella, collettori di scarico e cablaggi vari.







  • molle di richiamo dei braccetti del sistema di retrazione dei carrelli



  • cablaggi nel vano carrello.
  • luci su tip alari in trsparente con foro a simulare la relativa lampadina colorata.
  • pilone porta per bomba autocostruito.




Sul montaggio del velivolo non ho molto da dire, i pezzi vanno insieme piuttosto bene, l’uso di stucco è limitato, ci sono solo pochi segni di estrattori in vista nel vano carrello, le semiali, che possono anche essere montate ripiegate, sono dotate di robusti longheroni che garantiscono un sicuro incollaggio ed un corretto diedro in entrambe le posizioni
Qualche difettuccio pero c’è, innanzi tutto la giunzione delle due semifusoliere tra parabreza e NACA, crea uno spigolo che altera la sezione circolare della fusoliera. Niente di drammatico, basta carteggiare, pecato però che si va a cancallare il portello circolare d’ispezione e tutti i rivetti in negativo che lo circondano e che vanno quindi reincisi.
Secondo difetto, su entrambi gli esemplari gli elevatori tendono ad assumere un diedro asimmetrico, con il destro che tende a puntare verso il basso ed il sinistro in alto.
Assemblate le cellule di entrambi i velivoli, parabrezza inclusi, ho cominciato la fase che ritengo la più interessante: la colorazione.
Un Corsair basato a terra “DEVE” essere logoro, sbiadito e sporco.
Su alcune foto si vedono colature di olio e carburante che dal portello circolare tra parabrezza e NACA che finiscono fino sui flaps.
Spruzzi di sabbia corallina che salgono dal bordo d’uscita delle ali fino a metà fusoliera quasi si trattasse di un panzer sul fronte orientale.
Paradossalmente, io che sono un patito dell’invecchiamento esagerato ad ogni costo e mi sarei potuto sbizzarrire al massimo, sono rimasto affascinato dalla livrea blu e non ho osato sporcare come inizialmente pensavo.

Colorazione
Questa volta non voglio annoiarvi troppo nel descrivere le tecniche di pittura su cui mi sono dilungato nei miei articoli precedenti, dirò solamente che ho usato solo acrilici Tamyia, fondo in alluminio per creare le scrostature, sul “mio” i tre colori della mimetica sono stati riprodotti come segue:

  • Bianco = Bianco opaco+ qualche goccia di Buff
  • Intermediate Blue = 3 parti d XF18 Medium Blue +2 parti di bianco
  • Navy Blue = Fondo XF 17 Sea Blue, velature al centro dei pannelli in XF 50 Field Blue e successivamente in XF 50 Field Blue schiarito con del bianco, cercando di differenziare i diversi pannelli, e schiarendo di più le parti telate.

Le linee dei singoli pannelli sono state riprese, mascherandole da un lato con del nastro, e spruzzando del colore di fondo XF 17 scurito con del XF 19 Nato Balck molto diluito e a bassa pressione (1 parte di colore, 8 diluente della casa, 0,5 bar).














Quello su commissione l’ho fatto leggermente più chiaro, tanto per vedere come veniva.










Un lavoro piuttosto lungo è stato quello di evidenziare le strutture metalliche rivestite in tela.
Nel caso del Corsair elevatori, timone di direzione, parti dei flaps e alcuni pannelli del rivestimento alare.
Innanzi tutto tali parti sono state dipinte con il colore di base leggermente schiarito.
Ho poi mascherato le strutture metalliche con striscioline di nastro, per poi spruzzare lungo le mascherature una sottile zona di colore di base scurito.
Un discorso a parte meritano i pannelli alari, in quanto sono parzialmente coperti dalle insegne di nazionalità.
L’uso delle decals sarebbe stato alquanto rischioso, visto la necessità di sovrapporre innumerevoli mascherature.
Ho quindi deciso di autocostruirmi le mascherine (mi stò ancora chiedendo perché insisto nel farmele da solo, visto che la Montex, ditta Polacca, ne fa di ottime, ed ha una gamma abbastanza completa.)
Purtroppo non ho fotografato tutta la sequenza per cui ve ne propongo solo alcuni fotogrammi, credo siano sufficienti a rendere l’idea.
























A questo punto ho fatto ciò che ogni modellista, per potersi definire esperto, deve fare almeno una volta nella vita: e cioè far si che una dose abbondante di colore ben diluito trabocchi dal bicchierino dell’aerografo e vada, con precisione degna dei migliori assi dell’aviazione, a cadere sull’insegna alare quasi ultimata con tanta fatica. Naturalmente la diluizione del colore era quella ottimale per sciogliere completamente il capolavoro, e, tanto per completare l’opera, finire sul ventre dell’ala, dove l’analogo pannello telato era già stato colorato.
Sono seguiti nell’ordine:

  • urlo Fantozziano
  • proposito di mettermi a imbiancare la cucina come prossimo lavoro di pittura
  • pulizia dell’aerografo, trasferimento immediato davanti al televisore, dove mi sono messo a guardare “lettere da Iwo Jima”, cercando di trarre ispirazione dai gesti suicidi dei moderni Samurai.
  • autoriduzione della pena dal gesto suicida inizialmente pianificato a qualche cosa di più mite: preparazione delle foglie delle palme per il diorama: 43 foglie, di tre dimensioni diverse, con una media di 200 taglietti l’una, per un totale di circa 8600 sforbiciate.

Dopo la rivettatura integrale del FW 190, la pena più pesante che mi sono auto inflitto.
Comunque siccome sono un testardo, chiedetelo a mia moglie se non mi credete, in pochi giorni ho ripreso con rinnovato vigore, ho completato la famigerata insegna, questa volta delimitando una “no fly zone” sullo spazio aereo della stessa, interdetto ad aerografi di ogni tipo, perfino quelli scarichi, non si sa mai.
Terminata la mimetica ho eseguito le scrostature con il cutter, fumi e colature varie date ad aerografo, due mani di cera per pavimenti, stencil e decals varie, altra mano di cera.
I pannelli sono stati evidenziati con un lavaggi in apposito liquido della Vallejo.
L’applicazione di tutti gli ammennicoli che di solito si pitturano separatamente, e una mano di opaco Gunze hanno terminato il modello.
Il pilone ventrale è auto costruito, la bomba, una vecchia Monogram recuperata dalla banca dei pezzi, a cui ho ricostruito l’elichetta d’armamento anteriore con del plasticard.

Diorama
Poichè a me piace contestualizzare i modelli, e dovendo ambientare per forza di cose l’aereo nelle isole Salomone, non mi rimaneva altra scelta che una piazzola di sabbia corallina e, tanto per farmi del male, come già scritto prima, qualche palma.
Classica cornicetta Ikea, grelle in plastica Eduard, riempimento in polistirolo ricoperto di DAS, spennellato di colla vinilica, quando asciutto, e coperto di sabbia fine.
I tronchi di contenimento del terrapieno cono in DAS inciso con taglierino, quelli delle palme sono realizzati allo stesso modo, ma con un’anima in sprue piuttosto grosso deformata a caldo.






Le foglie delle palme sono in cartoncino, con rinforzo centrale in filo metallico incollato col Vinavil.














La postazione abbandonata ed il reticolato sono un’ idea dell’ultimo minuto, aggiunti a diorama praticamente finito, tanto per riempire.




Un po’ di sottobosco sul terrapieno non sarebbe stato male, me dopo aver fatto le foglie delle palme… sono diventato allergico ai sottoboschi.
Il tutto è stato dipinto con i soliti acrilici Tamiya
Il pilota ere compreso nella scatola, avrebbe dovuto essere posizionato sull’ala, ma io ho invece deciso di metterlo a terra (cambiando l’incidenza dei piedi), intento ad osservare il meccanico, gentilmente regalatomi dal Nando, che mi ha messo a disposizione l’intero suo “obitorio” per pescare qualche cosa che potesse fare al caso mio, mentre cerca di sistemare il guasto che, all’ultimo minuto, ha causato l’aborto della missione.
Il carrellino per la bomba è auto costruito in plasticare e balsa, le ruote provengono dal camion che traina il Bofors da 40 mm Airfix in 1/72, ma non sono uguali a quelle effettivamente montate sui carrelli veri, AAAAARGGH! Scandalo!
La bomba, residuato Monogram al pari di quella montata sotto l’aereo, è stata rappresentata priva della spoletta, come doveva essere durante il trasporto.




Conclusioni
Innanzi tutto alcune foto dei due soggetti finalmente ognuno saldamente ancorato alla propria basetta, e con tutti gli accessori a posto, giusto per mettere un po’ di chiarezza.

Il mio, finalmente finito, manca solo una cassettina per gli attrezzi ai piedi del meccanico...










... l’altro...












... e assieme!




È noto che in ogni realizzazione c’è sempre qualche cosa che poteva essere fatto meglio ma, considerato che l’impegno di tempo è stato relativamente ridotto rispetto a tanti altri soggetti fatti in precedenza, che non mi sono impegnato in modifiche importanti e impegnative, e che alla fine la resa del soggetto dipende quasi esclusivamente dalla colorazione e invecchiamento, mi ritengo molto soddisfatto.
Per quanto riguarda il diorama, come ho già scritto, sento la mancanza di un po’ di Jungla sotto le palme, non sarebbe difficile rimediare, ma ormai la testa è già impegnata in altri soggetti, credo che rimarrà così.
Chissà perché, quando faccio dei piccoli diorami mi sembrano sempre spogli, mi pare manchi sempre qualche cosa, mentre la maggior parte degli amici del club li giudicano “claustrofobici” a causa di tutto quello che riesco a mettere intorno al povero aereo, che dovrebbe essere il re della scena.
Qualcuno, al contrario, ha addirittura così commentato il diorama: “ma perchè hai messo l’aereo davanti alle palme, rovina il paesaggio!”
Ai posteri l’ardua sentenza.
Una nota sulle fotografie, premettendo che di fotografia ne capisco poco, e soprattutto mi manca la voglia di imparare, ho scattato quasi tutte le foto in modalità automatica e macro, provando di tanto in tanto a cambiare qualche lampadina del sistema di illuminazione.
Il risultato è che in molte foto, lo stesso modello sembra colorato con tonalità diverse.
Qui ho imparato che non bisogna giudicare l’accuratezza dei colori usati vedendo le foto, i colori sono spesso falsati da mille fattori, sembra una banalità, una cosa ovvia, ma quante volte, vedendo un modello su una rivista o sul PC, abbiamo affermato: bello, ma quel colore… proprio non mi convince. In questo caso però, se vi sembra che il Corsair con le insegne bordate di rosso sia leggermente troppo chiaro, avete ragione, è colpa del pittore, non delle foto.

Buon modellismo a tutti.


Roberto “Target” Colaianni
e-mail roberto.colaianni@alice.it
[Gallery]
25.05.2010

Nota:
Questo articolo è stato originariamente pubblicato in due parti nel sito suprEva (Parte 1, Parte 2).



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